Totò e gli Spaghetti alla Gennaro: un Omaggio alla Cucina e all'Arte Napoletana

Tantissimi sono i film di Totò che hanno deliziato la nostra infanzia con le sue battute, e ancora oggi, rivedendoli, li apprezziamo moltissimo, tanto che sembrano fatti oggi. Arte e cucina, in fondo, non sono campi distanti tra loro, e questo diventa evidente quando parliamo di arte culinaria. Tanti sono stati gli attori che si prodigavano a dare consigli per la buona riuscita di un piatto tradizionale, e Totò non è stato da meno, menzionando questo piatto diverse volte nei suoi film.

Un piatto semplice e povero di ingredienti, un classico della cucina napoletana. L’eccellenza campana nel piatto con ingredienti Doc. I ricettari napoletani sono pieni di pietanze eccezionalmente saporite che, molto spesso, raggiungono il risultato col minimo dispendio di ingredienti. Sono un esempio calzante gli Spaghetti alla Gennaro, un primo semplice semplice che è un omaggio a due simboli della cultura partenopea. Da una parte c’è il Santo protettore, al quale il nome è un diretto rimando, e dall’altra il Principe De Curtis, meglio noto come Totò.

A Napoli si servono soprattutto il 19 settembre, data della festa patronale nonché uno dei giorni in cui si attende il famoso miracolo. Alcuni condiscono la pasta anche con qualche datterino giallo per rinsaldare il legame con ‘faccia ‘ngialluta’, il nomignolo del Santo che deriva dal colore dorato del volto della statua portata in processione.

Ma come si prepara questa storica ricetta napoletana? Oltre alla pasta, non serve che del pane raffermo, dell’aglio, dei filetti di acciuga, origano e basilico. Si parte strofinando bene il pane con l’aglio e poi tagliandolo a cubetti consistenti. In un’altra padella si sciolgono le alici con uno spicchio d’aglio e abbondante olio, condendo il sughetto con un po’ di origano secco. Quando gli spaghetti sono cotti al dente si uniscono all’intingolo, aggiungendo parte del pane tostato e delle foglioline di basilico. Spezzettate a mano - è importante - per preservare l’aroma. Una volta impiattata, la pasta si cosparge con gli ultimi cubetti croccanti e, volendo, ancora un ciuffetto di basilico fresco.

Per preparare gli Spaghetti alla Gennaro, ecco gli ingredienti necessari:

  • 400 g di spaghetti di Gragnano
  • 1 ciuffo di basilico riccio napoletano
  • 4 alici dissalate di Cetara
  • 2 fette di pane raffermo
  • 1 spicchio d'aglio
  • 4 cucchiai di olio di oliva
  • 1 pizzico di origano secco q.b.
  • Sale q.b.

Preparazione:

  1. Prendiamo un’metà dell’aglio e mettiamolo in una padella con un filo d’olio.
  2. Con l’altra metà di aglio strofiniamo le due fette di pane.
  3. Ora possiamo sbriciolarle , io per comodità le ho tagliate a dadini piccolissimi.
  4. Accendiamo il fuoco sotto la padella e uniamo il pane e lo lasciamo tostare aggiungendo anche una foglia di basilico.
  5. In un’altra padella mettiamo un filo d’olio e le alici con l’origano.
  6. Buttiamo la pasta visto che l’acqua bolle.
  7. A metà cottura scoliamo la pasta, la uniamo alle alici e la lasciamo andare fino alla cottura. Se vediamo che si asciuga troppo aggiungiamo un mestolo di acqua di cottura e poi solo alla fine il pane tostato e il basilico.

Serviamo il piatto e possiamo aggiungere una bruschetta con pomodori e origano che da quel giusto equilibrio di sapori al piatto.

La figlia di Totò, Liliana, dedicò un libro di ricette a suo padre, e questa ricetta che vi propongo oggi fu suggerita da un popolano ed è scritta nel libro. Il piatto nacque per omaggiare San Gennaro, il protettore della città di Napoli.

Quella scena famosa che tanto ci ha deliziato in "Miseria e Nobiltà" è realmente accaduta nella vita di Totò, Antonio De Curtis, Principe della risata. Gli spaghetti al pomodoro, a Napoli, non sono solo una pietanza, ma è pura arte. Erano tempi in cui la guerra (1946) lasciò macerie e desolazione. Un bel giorno, prima di esibirsi, Totò era affamato. In meno di un quarto d’ora il pranzo arrivò a destinazione. Totò aprì quella ciotola di ceramica dove spaghetti caldi e fumanti probabilmente inebriavano tutto il camerino. L’odore di quella leccornia aumentarono l’appetito dell’attore che nel tovagliolo cercò invano le posate.

Alcune opere cinematografiche riescono a intrappolare l’essenza stessa di un particolare momento storico. Certi film sono in grado di cogliere i vezzi, le abitudini e le criticità di un’epoca e, di solito, sono proprio quel tipo di pellicole a sopravvivere al tempo, incastonate per sempre nell’immaginario collettivo.

Unendo tutti questi ingredienti il cinefilo potrà citare, inevitabilmente, solo Miseria e Nobiltà, commedia del 1954 diretta da uno dei registi di fiducia di Totò, Mario Mattoli, ma già rappresentata da settanta anni nei teatri, derivando da un testo di Eduardo Scarpetta, padre naturale del clan De Filippo. Insomma ci troviamo a livelli decisamente alti, narrativamente parlando. Datosi che, però, parliamo di miseria e nobiltà, i livelli sono destinati ad incrociarsi.

Felice Sciosciammocca (Totò appunto) è uno spiantato che si arrangia nella Napoli di fine 1800, soprattutto fa lo scrivano. In un avanguardistico esempio di famiglia allargata (più per necessità che per convinzione) divide il suo appartamento con il figlio Giuseppe (Franco Melidoni), la compagna Luisella (Dolores Palumbo), l’amico Pasquale (Enzo Turco) un altro artista dell’arrangio, per la precisione un fotografo ambulante, la moglie di questi Concetta (Liana Billi) e la loro figlia Pupella (Valeria Moriconi).

Arriva così un cuoco nella sala/camera da letto che, coadiuvato da due facchini imbandisce una tavola di classe sotto le pupille, e le papille, eccitate dei nostri eroi. Un pollo ma soprattutto dei fumanti spaghetti al pomodoro vengono serviti in tavola. All’inizio si avvicinano con fare sornione, poi la velocità aumenta ed è delirio, anzi gastrodelirio! In Miseria e Nobiltà lo spaghetto supera la sua dimensione alimentare per trasformarsi in un feticcio, in un simbolo che trascende la semplice nutrizione. Suscita sentimenti contrastanti nello spettatore. Da un lato verrebbe voglia di unirsi all’innocente baccanale, dall’altro si prova della intuibile repulsione per la scarsa igienicità della situazione. Ma si sa, la fame è fame! E allora che il banchetto cominci.

La scena più iconica del "Miseria e nobiltà" televisivo, quello più noto al grande pubblico, girato nel 1954, è sicuramente la scena del "piatto a tavola" con Totò-Felice Sciosciammocca mangia gli spaghetti e se li mette in tasca. Valeria Moriconi ricorda la bellissima scena degli spaghetti. A casa di don Felice lo scrivano e Pasquale il fotografo, con le loro famiglie affamate e allo stremo delle forze, arriva un dono: un pranzo con tutti i crismi.

Valeria Moriconi ricorda la bellissima scena degli spaghetti. A casa di don Felice lo scrivano e Pasquale il fotografo, con le loro famiglie affamate e allo stremo delle forze, arriva un dono: un pranzo con tutti i crismi. …Vedo gente con un colorito cianotico perché non poteva ridere e faceva fatica a trattenersi e vedo che Totò si era alzato, era salito sopra il tavolo e s’era inventato di mettersi gli spaghetti nelle tasche. Chissà la scena quanto sarebbe andata avanti e invece il regista fu costretto a dare lo stop perché, mentre si infilava gli spaghetti nelle tasche, Totò aveva preso anche un zampirone messo dentro la pasta per fare il fumo e questo zampirone gli stava bruciando la tasca” “Stop, stop!” gridò Mattoli, allarmato: “Principe, attento! Scendete subito dal tavolo, state prendendo fuoco, toglietevi subito la giacca!” Totò si guardò la tasca che bruciava ed esclamò: “Madonna mia, ‘a giacchetta!! Me stavo appiccianno!”.

Alla Sanità, dove Napoli è due volte Napoli, c’è una statua di Totò con un ciuffo di spaghetti in mano. Proprio come in Miseria e nobiltà , dove il principe della risata si riempie di vermicelli la bocca e anche le tasche, in previsione della fame futura. «Quella scena è la chiave di lettura della filosofia di Totò», dice Elena Anticoli de Curtis, nipote del grande comico, mentre ricorda, divertita e commossa, odori e sapori che hanno sempre condito l’esistenza di suo nonno. Al quale dedica un bel libro, scritto a quattro mani con Loretta Cavaricci, intitolato A Napoli con Totò.

«Quei profumi me li porto sempre appresso. Nonna Nannina, la madre di Totò, era una donna morbida e burrosa, la classica mamma napoletana di una volta. Cominciava a cucinare alle 7 del mattino e verso le 11 si faceva la supponta, uno spuntino a base di spaghetti all’aglio e olio. «Adorava il buon cibo, ma detestava abbuffarsi.

A proposito di generosità, quella di Totò era proverbiale. «Non ha mai dimenticato la sua origine. Col favore delle tenebre poteva godersi indisturbato la città. «Spesso alla Bersagliera, uno dei ristoranti storici del Borgo Marinari, sotto il Castel dell’Ovo, dove conservano ancora le sue foto. «Aveva un’autentica passione per la pizza. «Rigorosamente marinara. D’altra parte, per le persone nate prima della guerra la pizza per antonomasia è sempre stata quella.

Tornando a questo film, lei dice che la scena degli spaghetti è la chiave della filosofia di Totò. «Nel senso che nasce dal suo vissuto più intimo, dal ricordo della fame patita, che lui trasfigura e rende universale. Quando prende gli spaghetti con le mani e si mette a ballare la tarantella, trasforma Felice Sciosciammocca e i suoi affamati coinquilini, in una metafora della condizione umana quando è “in ballo”.

Totò e gli spaghetti in "Miseria e Nobiltà"

In sintesi, gli Spaghetti alla Gennaro e la figura di Totò rappresentano un connubio perfetto tra la tradizione culinaria napoletana e l'arte cinematografica, un omaggio alla semplicità, alla generosità e alla capacità di trasformare la miseria in nobiltà attraverso un sorriso e un piatto di spaghetti.

SPAGHETTI ALLA GENNARO cucina napoletana tradizionale

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